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Cento anni fa, il 3 giugno 1924, si spegneva a Kierling, vicino Vienna, Franz Kafka. Uno scrittore che, con la sua prosa visionaria e perturbante, ha scavato nelle profondità dell’animo umano, svelandone le angosce e le contraddizioni. Un autore che, pur non avendo conosciuto il successo in vita, è diventato un punto di riferimento imprescindibile per la letteratura del Novecento e non solo.

Nato a Praga nel 1883, Kafka visse in una realtà complessa e multiforme, segnata dalla convivenza di diverse culture e lingue. Ebreo di lingua tedesca in una città a maggioranza ceca, si trovò a sperimentare in prima persona il senso di spaesamento e di estraneità che avrebbe poi caratterizzato i suoi personaggi.

La sua opera, composta da romanzi, racconti e aforismi, è un viaggio nell’assurdo e nell’inquietante. I protagonisti dei suoi scritti si trovano spesso intrappolati in situazioni kafkiane, appunto, in cui la logica e la razionalità sembrano venir meno, lasciando spazio a un senso di angoscia e di smarrimento.

Il Processo, Il Castello, La Metamorfosi sono solo alcune delle opere che hanno reso celebre Kafka in tutto il mondo. Opere che, pur essendo state scritte un secolo fa, continuano a parlare al nostro presente, a interrogarci sul senso della vita, sulla ricerca della verità, sulla difficoltà di comunicare e di relazionarsi con gli altri.

Kafka ci ha lasciato in eredità una scrittura potente e suggestiva, capace di scavare nell’animo umano e di mettere a nudo le sue fragilità. Una scrittura che, a cento anni dalla sua morte, continua a essere fonte di ispirazione e di riflessione per lettori di ogni età e provenienza. La sua eredità è un invito a non arrendersi di fronte all’assurdità del mondo, ma a cercare, nonostante tutto, un senso e una speranza.

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