“Con me il giochino della poltrona non può funzionare. In questi anni ho lavorato sodo e a settembre avrei potuto avere un seggio da parlamentare sicuro in Forza Italia. Mi sarebbe bastato tacere, accettare quello che in molti chiamano compromesso”. Così il ministro per il Sud e la coesione territoriale Mara Carfagna in un post sul profilo fb. “Non l’ho fatto, perché l’Italia vale di più – spiega -. E perché non è mai stato il mio stile. Ho messo davanti a tutto i miei valori, i principi in cui credono le persone che fino ad oggi ci hanno sostenuto con forza. Il sostegno alle imprese, il diritto al lavoro, la capacità di innovare un Paese pieno di potenziale, la protezione di chi è rimasto indietro”.
Carfagna evidenzia, poi, che non è stata lei ad avere abbandonato Forza Italia “ma è Forza Italia ad aver abbandonato i suoi valori originari”. E dice: “Io ho conosciuto due Forza Italia: la prima, con una forza propulsiva in grado di rispondere ai bisogni dell’Italia moderata, di buon senso, di quell’Italia che crede che ci siano cose giuste da fare e che vadano fatte. Quella Forza Italia ha tenuto in piedi una coalizione che si è chiamata centrodestra. Un centrodestra vero, autentico”.
“Poi, in questi ultimi anni – prosegue – ho conosciuto una seconda Forza Italia, che ha deciso di sottomettersi ai messaggi di due partiti estremisti nel linguaggio e populisti nella promessa di impossibili miracoli. Il Centrodestra si è trasformato in un asse dell’irresponsabilità quando ha deciso di mandare a casa il premier più rispettato d’Europa, interrompendo riforme, ristori, sostegni alle imprese e alle famiglie, pur di prendere qualche deputato in più”.
“L’Italia non può andare avanti a forza di slogan e vuote promesse. Chi ama questo Paese deve rimboccarsi le maniche e mettersi in gioco. Questa è stata la mia scelta. Una scelta forzata, dolorosa, ma inevitabile. La mia, a differenza di molte altre, è stata però anche una scelta di coraggio. E ne vado fiera”, conclude il ministro che si candiderà alle Politiche 2022 con Azione di Carlo Calenda.