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Sangue e terrore avvolgono Daghestan. Due attacchi avvenuti quasi contemporaneamente hanno scosso le principali città della più meridionale Repubblica russa. Ieri verso le 18 locali, le 17 in Italia, terroristi armati di mitra sono entrati in azione a Derbent, sul Mar Caspio, e a Makhachkala, il capoluogo. I canali Telegram russi si sono subito riempiti di immagini di una sinagoga in fiamme e di una chiesa ortodossa sotto assalto a Derbent. I messaggi sconvolti dei cittadini e le notizie delle autorità hanno trasmesso un senso di caos. Tra le prime vittime c’è stato il sacerdote, padre Nikolai, che, secondo alcuni account russi su X non ancora confermati ufficialmente, sarebbe stato “sgozzato” o “decapitato”. Il bilancio provvisorio parla di 4 civili, 15 agenti e 6 terroristi uccisi, con almeno 25 feriti. I combattimenti sono durati per ore.
Attorno alle 20 decine di fedeli della chiesa di Derbent erano ancora bloccati, forse ostaggi dei terroristi o forse rifugiati in un locale. A tarda notte era ancora in corso la caccia agli attentatori. Blindati per trasporto truppe percorrevano le vie cittadine sparando con le mitragliatrici pesanti. In tutto il Daghestan è stato proclamato lo «stato di emergenza» e, nella notte, si cercava una Volkswagen Polo bianca su cui sarebbero fuggiti alcuni terroristi.
La prima pista porta a pensare, in assenza di rivendicazioni, che possa trattarsi dell’estremismo islamico, forse direttamente lo Stato Islamico del Khorasan (Isis-K) che ha già colpito in marzo al Crocus City Hall, nella periferia di Mosca.
L’altra porta invece ad una genesi interna al Daghestan. Tra i terroristi uccisi ieri ci sono anche due figli e un nipote di Magomed Omarov, governatore distrettuale daghestano, figura politica nota che collaborava con Mosca da anni. 

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