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Oggi Gerd Müller avrebbe compiuto 76 anni. Da tempo affetto dal morbo di Alzheimer, ci ha detto addio il giorno di Ferragosto. Tra gol e trofei è il miglior attaccante tedesco di sempre.

Müller e il gol erano il duo perfetto. Due amanti inseparabili, uniti dal profondo fiuto per la rete del bomber tedesco. Rapacità, finalizzazione, freddezza, velocità, agilità; queste sono solo alcune delle sue immense qualità. Gerd Müller era un mito, un gioiello più unico che raro. Era un semidio: divino in campo, ma fragile e pieno di problemi fuori da esso. A 75 anni non ce l’ha fatta più, ora riposa nell’Olimpo del Calcio.

Quasi scartato“Cosa pretendete che ci faccia con questo basso e grasso ragazzo?” dice un giorno Zlatko Cajkovski, allenatore del Bayern Monaco. In effetti il fisico di Gerd non è proprio dei migliori. Nella stagione ’64/’65 rimane aggregato alla squadra riserve per le prime 10 partite. Ma grazie a una tripletta proprio col team b il mister lo convoca in prima squadra. Da quel momento non ne uscirà mai più. Segna 39 reti in 32 partite, regalando al Bayern l’agognata promozione. È una squadra piena di talenti: Sepp Maier, Franz Beckenbauer e il già citato bomber: Müller. Grazie a loro in pochi anni arrivano i trofei: 3 Coppe di Germania, 1 Coppa delle Coppe e 1 scudetto.

“Poi c’è quel maledetto… maledetto Gerd Müller. È tanto sgraziato quanto efficace. Tante volte addomestica un tiro sbagliato dei compagni e lo fa diventare suo e fa gol. Oppure se tu hai un’incertezza di un secondo, lui entra nella storia e fa quello che deve fare: toccarla appena e metterla in porta”

-Federico Buffa

Gol a raffica – È nel 1970 che Müller diventa, se possibile, ancor più implacabile. Segna gol a raffica. Vince il titolo di capocannoniere del campionato tedesco con con 38 gol. E al Mondiale messicano non si ferma di certo: segna 10 reti. La sua Germania Ovest si ferma solo alla semifinale con l’Italia, dove Gerd segna pure 2 reti. Ma non basta, gli Azzurri si impongono per 4-3 nel match del secolo. A fine anno però i gol segnati gli valgono il la Scarpa e il Pallone D’oro. Lui è la chiave del successo del Bayern, l’uomo più importante e temuto dei tedeschi. Il suo Bayern continua a macinare successi, e il nome di Gerd Müller è sulla bocca di tutti. È un fenomeno di massa, il più amato dai tifosi.

“Dove c’è la palla c’è anche Gerd Muller”

-Paul Breitner

Trofei – Nel 1972 regala alla sua nazionale il successo continentale. In quella stagione stabilisce il record di gol segnati in un singolo campionato tedesco: 40, solo Lewandowski, 41 reti, ha saputo far meglio. E con 85 reti messe a segno fissa il record di gol in un anno solare. Il gol è la sua droga, ne vuole sempre di più, e non può farne a meno. Tra il ’74 e il ’76 vince l’inimmaginabile: 3 Coppe dei Campioni consecutive, un campionato tedesco e un Mondiale. Quest’ultimo vinto in finale contro l’Olanda del Calcio Totale. Nel tabellino ovviamente non poteva non comparire, segnando il secondo e decisivo gol per i tedeschi. Da quel momento però i dissidi con la federazione tedesca lo inducono a lasciare la nazionale dopo 68 gol in 62 partite.

“Poteva accadere che durante la partita non si vedesse per 30 minuti. E poi, improvvisamente, compariva e segnava”

-Wolfgang Overath

Fine – Negli ultimi anni continua a segnare a raffica. Il suo solito opportunismo, il tiro da paura e la velocità impressionante non lo abbandonano mai. Nel 1979 però ci sono dissapori crescenti fra Müller e la dirigenza del Bayern. Lascia la sua amata Baviera, per ritirarsi nel campionato americano. Nel 1981 chiude la sua carriera.

“Era brutto da vedere, con quelle gambe corte e tozze e le spalle spioventi. Ma era veloce come un fulmine e saltava come un anguilla. Con lui non potevi distrarti un solo secondo”

-Franz Beckenbauer

Il tunnel verso l’inferno – Rimasto ormai senza poter più segnare, si abbandona all’alcol. La gioia dopo una rete si trasforma nel rifugiarsi in qualche birra. Il Dio delle reti mostra la sua natura umana, abbandonandosi alla depressione. Non era più il leggendario bomber. Ha bisogno di una mano, e qui intervengono i suoi ex compagni, che gli pagano le cure in una clinica. Interviene poi il Bayern a dargli un lavoro. Prima è l’allenatore in seconda delle giovanili, poi diviene un dirigente. Nel 2015 la società rende noto che è affetto dal morbo di  Alzheimer. E il 15 agosto scorso ha salutato questo mondo per andare nel posto che più gli spetta: l’Olimpo del Calcio.