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E’ innegabile quanto il nuovo conflitto che ha acceso il Medioriente abbia provocato una recrudescenza dell’antisemitismo. In effetti, sacche di un sentimento antiebraico abbastanza trasversale stanno attraversato non soltanto l’Europa occidentale e gli Stati Uniti, da sempre sponde benevole della politica di Israele riguardo alla questione palestinese. Un fenomeno discriminatorio nei confronti del quale bisogna mantenere la guardia sempre alta. Depurandolo innanzitutto dal folclore tipico di chi vorrebbe trasformare gli eventi prodotti dopo il massacro del 7 ottobre nella classica contesa tra opposte tifoserie di curvaioli.

Il pericolo, infatti, è che le antiche diffidenze verso l’occupazione della Striscia di Gaza possano alimentare il pregiudizio, contribuendo a saldare l’antisemitismo con il sionismo. Ovvero, quella ideologia politica sorta alla fine del XIX secolo nell’Europa centrale ed orientale, che teorizza il diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico in uno Stato indipendente, nella Terra dei Padri. Una rivoluzione culturale di carattere fortemente innovativo, che mette in discussione il concetto espresso fino a quel momento dalla Storia: l’ebreo come “diverso”, segregato nel ghetto, obbligato a svolgere determinati mestieri. Sostanzialmente a un livello non di eguaglianza rispetto alla popolazione cristiana. 

Attualmente, anche attraverso una forzatura dialettica, la definizione di antisionismo generalizza un po’ tutte quelle idee che esprimono una obiezione di fondo alla strategia di Netanyahu: ergo, dissentono dalle scelte politiche e militari del premier. Accomunando chi nega la legittimità di Tsahal – l’esercito israeliano – di portare avanti con l’operazione “Spade di Ferro” un conflitto in cui stanno pagando un prezzo salatissimo soprattutto i civili. Una catastrofe umanitaria condotta in ossequio alla necessità di garantire la sicurezza a tutti i cittadini israeliani. Che comunque sembra indebolire militarmente poco o nulla Hamas. A chi addirittura sostiene la illegittimità dello Stato di Israele. E come tale ne nega il diritto alla stessa esistenza.

Chiaramente se criticare prima le condizioni di vita dei palestinesi e adesso l’occupazione di Gaza può anche essere opinione condivisa, tutt’altra cosa è l’antisemitismo. Il termine fu utilizzato per la prima volta nel 1879 dal giornalista tedesco Wilhelm Marr per indicare una certa malcelata diffidenza nei confronti degli Ebrei.

Non distinguendo tra i due fenomeni, anzi esasperandone gli aspetti religiosi, culturali e razziali, non si fa altro che rafforzare la convinzione che possano coincidere tra loro. Una conclusione che non può e non deve essere assolutamente tollerata ne tantomeno giustificata in alcuna maniera o manifestazione.