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Simone Favaro il placcaggio come un’arte. Il destino ha voluto che il debutto della terza linea Favaro avvenisse nel luogo dove il placcaggio è normalità ruvida, un’abitudine, una necessità, un senso del gioco, all’Etihad Stadium di Melbourne.

E’ proprio all’Etihad che Simone ebbe il battesimo del fuoco, contro l’Australia e per 21 volte fece quello che sapeva fare meglio. E se il punteggio alla fine risultò severo (Australia-Italia 36-12) lui ne usci da protagonista. Vecchie volpi della terza linea come George Smith, David Pocock, Phil Waugh oggi CEO di Rugby Australia si interrogavano da quale angolo remoto fosse spuntato quel ragazzino terribile. 

Uno come il trevigiano non poteva non piacere a Nick Mallett che l’aveva convocato nel gruppo per il 6 Nazioni. Favaro era il più giovane, 20 anni e un paio di mesi. Non giocò neanche un minuto, ebbe il suo momento in estate nella terra dei flanker aggressivi, seguito da altri 35 in azzurro. Simone ha girato per il rugby italiano: Rovigo, Crociati, Aironi, Treviso poi il passo verso nord che lo portò a Glasgow, a giocare con ì Warriors. A Glasgow Simone si trovò benissimo, un ambiente senza fronzoli, come piace a lui, ed era molto amato dai fan. Così  come era amato dalla famiglia: mamma Cristina era entusiasta di quel suo figliolone, una presenza fissa ai match della Nazionale.

Nella  gloriosa giornata di Firenze, quando gli Springboks furono battuti dagli Azzurri, Sergio Parisse gli allungò una carezza sulla zucca. “Non me ne sono accorto”, confessò Simone. Dopo Glasgow sembrava che la prossima destinazione sarebbe stata Parigi, sponda Stade. Lui fece una scelta diversa, andò alle Fiamme Oro. Non ne è uscito anche quando ha chiuso con il rugby. Difficile sfuggire a uno come Simone, l’agente che mira alle caviglie. 

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